sabato 12 gennaio 2013

Sul perchè i dati aperti non sono uno spreco di risorse

Ultimamente ho sentito di consulenti che raccontano a pubbliche amministrazioni che gli open data sono robetta di poca importanza, che possono o non possono pubblicare ma che non ci sono reali necessità, che i dati aggregati vanno più che bene e che le informazioni pubblicate tanto non vengono usate molto perchè tanto non ci sono modelli di business. Mi si conceda una sola parola: CAZZATE. Questo per tre motivi:
1) Se non si inizia a pubblicare dati di qualità, la giusta atomicità e la giusta tempistica non si arriverà mai a dimostrare l'esistenza di modelli di business legati ai dati. Ma il problema in questo caso è di volontà, che sarebbe bello fosse espressa in modo chiaro. Quando una torta viene male, scherzando spesso si dice che "manca l'amore". Stessa cosa dicasi per i dati. Se sono percepiti come estranei e solo moda passeggera, non crescerà la qualità, nè tantomeno la consapevolezza. E allora si, è uno spreco.
2) Investire negli open data non è uno spreco di denaro e di tempo. Implica, questo si, rivedere scelte organizzative, eventualmente modificare gli strumenti in uso e sicuramente cambiare modo di pensare (questo forse è l'aspetto più difficile). Ma è un investimento che già paga sul medio termine, in quanto si possono iniziare a fare operazioni molto eleganti di confronto e valutazione incrociata dei vari settori della pubblica amministrazione. E questo non serve tanto al cittadino o al giornalista o al grillino di turno che vuole attaccare l'attività dell'amministrazione, quanto più che altro all'amministrazione stessa, che in questo periodo di spending review può cercare di ottimizzare le proprie attività. E zittisce in modo automatico le spinte populiste simil-grilline date dal fatto che la PA non ha, spesso, indicatori di qualità interna "validi".
3) Il mettere in relazione dati consente di fare scelte molto complesse con il gisuto coraggio. E permette di mettere le informazioni nella giusta prospettiva (minuto 11 del video qui sotto). E' vero, questo implica che il politico di turno non può urlare un numero a caso (B. è un esempio), perchè il fact checking diventa operazione più semplice.
Come viene sottolineato nello straordinario volume Open Government (Amazon.it) il vero problema non è tanto nel dato, ma nella cultura del procurement sottostante. La pubblica amministrazione dovrebbe spingere per avere al suo interno software prevalentemente open source, con repository pubblici ai quali chiunque possa sia accedere che contribuire (il governo USA ha iniziato prima con il progetto Code for America che ha portato alla copia europea Code for Europe, poi con i Civic Commons, collezione di software open source con i vari elementi della PA che utilizzano i vari strumenti, a sua volta copiato da European Commons, e ora direttamente con un repository su github dove li sviluppatori nella PA mettono i loro progetti software ad uso interno).
In conclusione, mi auguro che i dirigenti PA che vogliano informarsi sui dati diffidino di consulenti che raccontino che è facile ma relativamente inutile pubblicare dati e che non citano mai la parola "community", che come per tutti gli aspetti open è fondamentale.

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